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Boschi,sentieri,storia e sapori. Passeggiate del Gusto al Conero

Un #cammino, evento, attraverso il quale, chi vorrà seguirci, potrà riscoprire le antiche vie di comunicazione del #Conero e legarle ad un alimento della tradizione Italiana, dei suoi sapori genuini e della sua cultura che si è diffusa nei secoli passati ed è arrivata fino ai nostri giorni: "LA PIZZA".  Ma non banalizziamo l'esperienza come una semplice pizzettata in allegria. I partecipanti saranno calati in una dimensione speciale, con una passeggiata tra i boschi e gli ambienti tipici del Conero raggiungeremo? No sarà la Pizza o meglio sarà il Forno a legna dell'Azienda Agricola Biologica Legalasino che ci raggiungerà sul campo per deliziarci: di storia di grani antichi, dagli Etruschi ai tempi moderni; di sapienza della lievitazione della pasta madre, il tutto rigorosamente sul campo degustando in abbinamento ottima birra artigianale rigorosamente biologica.

L’appuntamento è per i pomeriggi dei giorni:
16/17/18//19/20/21/22/23 Agosto, tutti armati di entusiasmo e voglia di scoprire la natura, la storia e tradizioni antiche attraverso la Passeggiata del Gusto, per portare gli appassionati, i curiosi in un percorso fra la natura, i boschi ed i sentieri per scoprire le antiche vie del Conero

Ritrovo ore 17:00 ( la località verrà comunicata ad iscrizione avvenuta) area Conero.
Passeggiata Naturalistica fino alle 18:30/19:00 di facile percorrenza, adatta a tutti.
Ore 19:00 incontro sul Campo con l'Azienda Bio Legalasino e il suo forno a legna in movimento!
Preparazione e degustazione pizze con impasti prodotti con farine di: farro, orzo, cicerchia,grano saraceno, canapa, legalasino (miscela particolare dell'azienda) e ai cereali.
Degustazione Birra pillsbio
degustazione di pane biologico bruschettato con pasta di olive bio della stessa azienda legalasino

Quota di partecipazione € 28,00 a partecipante

La quota è comprensiva di

  • Escursione con guida naturalistica del Forestalp natura in Movimento del Parco del Conero
  • Degustazione di pizze cotte nel forno a legna con differenti impasti
  • bicchiere 0,25 birra pills bio
  • pane biologico bruschettato con salsa di olive bio


Il numero massimo dei partecipanti per ogni evento è di 50

La prenotazione va effettuata inviando sms o messaggio whatsapp ai seguenti numeri telefonici
3356471228 Maurizio
3356470584 Fabrizio
indicare nome, cognome e numero dei partecipanti

Alla conferma da parte dell'organizzazione verrà inviato:
l'iban per il pagamento della quota, che dovrà essere interamente anticipata, e il luogo esatto di ritrovo per partecipare all'evento.

Organizzatori

Forestalp Natura in Movimento Tour Operator

Natura in Movimento Soc. Coop. Sociale

Azienda Agricola Biologica Legalasino di Filottrano


APPROFONDIMENTO STORICO SULLA PIZZA

Le origini della pizza affondano le radici in un intreccio di storia e leggenda che, da sempre, affascina gli amanti della più nota prelibatezza mediterranea. La storia fa risalire la pizza ad un antenato paleolitico della focaccia che gli uomini primitivi, non conoscendo le tecniche di agricoltura, preparavano sbriciolando cereali e radici che poi cuocevano sulla pietra calda. Alcuni ritrovamenti archeologici confermerebbero questa tesi; precursori dei forni della pizza sarebbero, infatti, giunti fino a noi: cave all’interno delle quali la pietra veniva poggiata su braci ardenti per cuocere l’impasto. Fu grazie agli egiziani che si compì un’importante tappa della storia della pizza, quando furono scoperte le proprietà del lievito che, aggiunto all’impasto degli antenati primitivi, diede nuova consistenza alla focaccia.

Un precursore della pizza esisteva anche tra i persiani: ai tempi della dominazione di Dario il Grande, i soldati usavano rifocillarsi, dopo grandi battaglie, cuocendo sui propri scudi delle pagnotte piatte, che farcivano con formaggi e datteri.
In Italia, patria ufficiale della pizza, gli etruschi prima, i greci e i romani poi, parteciparono alla storia di questo gustoso alimento: se gli etruschi furono i primi ad importare questo nutrimento nella propria cultura gastronomica, i greci apportarono un’importante modifica nella preparazione della focaccia; detta Planktunos, la “pizza” degli antichi greci veniva, infatti, farcita prima della cottura. Grazie a Catone il Censore, famoso generale, storico, politico e scrittore dell’antica Roma – che fu probabilmente tra i primi ammiratori della pizza – sappiamo, inoltre, dell’esistenza di una pietanza molto popolare tra i romani dell’epoca, composta da un “impasto di forma rotonda con olio d’oliva, spezie e miele” che veniva “cotto su pietra”, definita Panis Focacius (dal latino: “panis“, ovvero pane, cotto al “focus“, focolare).

L’ampliamento dei confini dell’Impero Romano contribuì alla diffusione di questo tipo di focaccia e, nel tempo, nacquero diverse varianti, attribuite a territori differenti della nostra penisola, a seconda degli ingredienti utilizzati e della preparazione: tra queste, la pizza pugliese, la picea napoletana, la pitta inchiuta calabrese e la schiacciata toscana. Qesti termini, intorno all’anno Mille, si utilizzavano per indicare un disco di pasta coperto da ingredienti colorati e saporiti che veniva cotto in forno. Tuttavia, alcune fonti storiche sottolineano che il termine della pietanza più famosa al mondo, potrebbe derivare dalla lingua araba e dalla dominazione saracena – il termine pita, così simile a pizza, significa proprio pane, focaccia – o persino da quella tedesca giunta in Italia con la dominazione longobarda – in questo caso si fa riferimento alla parola “bizzo“, che significava “pezzo di pane”.

Tutte le varianti di focaccia conosciute all’epoca rappresentavano un alimento povero, un cibo su cui i contadini potevano fare affidamento nei momenti critici, e, soprattutto, mancavano ancora dell’ingrediente che, attualmente, risulta fondamentale per la preparazione della pizza: il pomodoro. L’arrivo sulle tavole della pizza moderna avviene, infatti, proprio con la scoperta del pomodoro. Importato dal Perù, dopo la colonizzazione dell’America, il pomodoro fu dapprima utilizzato come pianta da ornamento, ritenuto velenoso – si trattava, infatti, di un frutto dorato, non rosso come il pomodoro che conosciamo, e proprio per questo denominato “pomo d’oro”, ovvero mela d’oro – poi usato in cucina come salsa, cotta con un po’ di sale e basilico, probabilmente proprio da qualche contadino che, per i morsi della fame, decise di tentare la sorte. Solo successivamente il pomodoro fu abbinato alla pizza, dando vita alla creazione culinaria più famosa del mondo. L’estro mediterraneo e l’arte del “sapersi arrangiare” in caso di bisogno resero il pomodoro, già nel 16° secolo, un ingrediente indispensabile per la cucina locale, mentre sulle tavole del resto del mondo questo frutto fece la propria comparsa soltanto un paio di secoli dopo.
Tra il 1700 e il 1800 la pizza era già enormemente diffusa sopratutto a Napoli: Vincenzo Corrado cita la classica pietanza in un trattato, risalente alla metà del Settecento, in cui descriveva le abitudini alimentari dei napoletani. Già all’epoca, in tutta la città, piccoli locali con forni a legna vendevano la pizza nelle strade e nei vicoli, dove queste erano anche consumate; il ragazzo di bottega, portando in equilibrio sul capo una stufa, si recava direttamente dagli acquirenti che potevano gustare le pizze, ancora calde e già confezionate con diversi ingredienti e condimenti. Egli avvisava del proprio arrivo con sonori e caratteristici richiami. Tuttavia, nessuno sedeva al tavolo come nelle moderne pizzerie e anche i venditori ambulanti potevano fare affari con la pizza: utilizzando piccoli contenitori di rame a forma di botte – dotati di doppio fondo nel quale inserivano le braci per tenere al caldo il prodotto – questi trasportavano le pizze appena sfornate “a domicilio”.

Si sviluppò anche una singolare modalità di vendita, la cosiddetta pizza a otto: la pizza si mangiava subito, ma la si pagava a otto giorni di distanza, gustandone un’altra. Anche se questa facilitazione costava un piccolo sovrapprezzo, dimostra come, allora, fosse spiccato il senso di solidarietài: fra l’avventore ed il pizzaiolo si istituiva una attività di mutua collaborazione che permetteva al popolo minuto di nutrirsi di un alimento sano, nutriente e gustoso ed al commerciante di portare avanti una attività economica che, certamente, serviva a sfamare la sua famiglia.

Successivamente si diffuse l’abitudine di consumare la pizza in loco, presso le botteghe dove era preparata: il forno di pietra a legna, il bancone di marmo, dove era confezionata la pizza, e, sugli scaffali, in bella mostra gli ingredienti selezionati per comporre le differenti varietà di pizza. Completavano l’ambiente i tavoli, dove gli acquirenti consumavano la pietanza, ed una esposizione esterna di pizze per la vendita ai passanti: tutti elementi che si ritrovano tuttora nelle pizzerie.
E’ alla fine del XIX secolo, che si verifica il celebre episodio, spesso narrato come evento che ha dato origine alla fama della pietanza, che intreccia la storia della pizza a quella della casa regnante dei Savoia. Nel 1889, infatti, il re Umberto I e la regina Margherita trascorrevano l’estate a Napoli, nella reggia di Capodimonte; la regina, incuriosita dalla pizza, che non aveva mai mangiato e di cui aveva sentito parlare a corte, era intenzionata ad assaggiare il celebre alimento del popolo. Non potendo ella recarsi in pizzeria, fu chiamato a palazzo il più noto e rinomato “pizzaiuolo” del tempo, Raffaele Esposito, che si trovava alla salita Sant’Anna, a pochi passi da via Chiaia (la sua pizzeria, “Pietro il Pizzaiolo”, esiste ancora oggi come “Pizzeria Brandi”). Al pizzaiolo fu concesso di utilizzare i forni delle cucine reali e lì preparò le pizze per i più celebri clienti mai incontrati. Proprio per questo cercò di combinare gli ingredienti in modo da creare pizze d’occasione, adatte al palato sopraffino dei suoi ospiti: una, detta “Mastunicola“, fu preparata con la sugna (una sorta di strutto), formaggio e basilico; una con aglio, olio e pomodoro – la classica pizza alla marinara; una terza con mozzarella, pomodoro e basilico, per riprodurre i colori della bandiera italiana. Fu quest’ultima in particolare che entusiasmò la regina Margherita e, certamente, non solo per motivi patriottici!
Il pizzaiolo colse al volo l’occasione e chiamò questa pizza “alla Margherita”: il giorno dopo la mise in lista al suo locale ed ebbe, come si può immaginare, innumerevoli richieste. Poi la storia si riseppe anche fuori Napoli e la pizza alla Margherita si diffuse un po’ dovunque.

Testo tratto da Pizzeria il Duca di Parma